Il recente articolo “Structural stability of SARS-CoV-2 3CLpro and identification of quercetin as an inhibitor by experimental screening” pubblicato sulla rivista International Journal of Biological Macromolecules, oltre ad aver suscitato molto interesse all’interno della comunità scientifica, ha prodotto un improvviso e forte impatto mediatico sulla popolazione.
La rete pullula infatti di frasi entusiastiche come il “cappero ci salverà” e “capperi, cipolle rosse e radicchio. Ecco le nuove vie “farmacologiche” contro il Covid che la natura ci offre” che possono facilmente fare breccia nel cuore e nel cervello dei non addetti ai lavori.
La scoperta del gruppo di ricerca del CNR di Cosenza in collaborazione con istituti spagnoli è ormai universalmente nota: una proteina fondamentale per la replicazione cellulare, 3CLpro, comune nei vari ceppi di coronavirus e strutturalmente molto diversa rispetto alle varianti umane, che la rende potenzialmente un target ad ampio spettro e non tossico per l’uomo, è stata studiata e caratterizzata con specifiche tecniche biofisiche che hanno consentito di valutarne la stabilità ed il comportamento a diversi stimoli e individuare dei “punti deboli” che possano costituire un bersaglio per contrastare l’attività del virus.
Sono stati condotti dei test in vitro e di modellistica molecolare, di fatto riproducendo in provetta l’attività di 3CLpro e studiando mediante tecniche computazionali e l’ausilio di software specifici come varie sostanze, definibili come potenziali inibitori, possano effettivamente interagire ed interferire con l’attività e la struttura della proteina.
Tra le 150 molecole testate, la quercetina, sostanza polifenolica presente in molte verdure che mangiamo comunemente, come i capperi, la cipolla e il radicchio e nota da tempo nel mondo dell’integrazione alimentare per le sue svariate proprietà, è risultata la vincitrice. Una concentrazione di quercetina pari a 7µM, corrispondente a circa 2 µg/L, ha inibito l’azione di 3CLpro della metà, dimostrando così un’attività sufficiente per ipotizzare un futuro utilizzo della quercetina come “impalcatura” per lo sviluppo di nuovi farmaci per il trattamento del COVID-19 e come punto di partenza per successivi test pre-clinici e clinici sull’animale da laboratorio e sull’uomo.
Lo studio rappresenta quindi un’interessante e valida premessa teorica che però resta circoscritta a previsioni computazionali e a test ricreati in laboratorio e non indaga sul possibile contributo della quercetina assunta con gli alimenti, né dell’effettiva azione nell’uomo e dei relativi dosaggi efficaci. È da considerare infatti che la quercetina una volta assunta non resta inalterata ma subisce modificazioni a livello intestinale ed epatico. Il suo assorbimento nel tratto intestinale è fortemente variabile da soggetto a soggetto ed è senza dubbio necessario approfondire se la dose di inibizione identificata per 3CLpro sia effettivamente raggiungibile a livello plasmatico.
In conclusione, per capire se effettivamente la quercetina potrà costituire un inizio per l’avvio di un percorso terapeutico saranno necessari ulteriori studi che considerino la reale complessità di ciò che accade quando la quercetina viene assunta da un organismo vivente.